Il 29 marzo, Fisascat– Filcams – Uiltucs, insieme alle associazioni datoriali,  hanno sottoscritto il rinnovo del Ccnl della Distribuzione Cooperativa, dopo quattro anni di attesa.
Il testo è molto distante dalle reali esigenze dei lavoratori, niente si prevede sulle chiusure festive e sulla volontarietà del lavoro domenicale.
No ci è chiaro come opererà la nuova Commissione per l’inquadramento, ma ad oggi, nel testo, non si evince alcuna garanzia di livelli contrattuali effettivamente corrispondenti alle mansioni svolte.
Le poche parole espresse per i lavoratori a tempo determinato o in somministrazione non pongono abbastanza limiti al ricorso continuo a queste modalità precarie di assunzione.
In aggiunta, non ci sono aumenti salariali che recuperino l’inflazione, né la riduzione degli istituti che hanno reso insopportabile la flessibilità.
Vediamo alcuni punti maggiormente critici:
 
– SALARIO E INFLAZIONE
L’inflazione altissima degli ultimi anni ha reso sempre più difficili anche le spese essenziali. In base ai dati Istat, l’indice dei prezzi al consumo ha raggiunto il picco el 2022, attestandosi all’8,1%, per poi sfiorare il 6% nel 2023. Al momento, il dato medio del 2024 già raggiunge l’1,3%.
A subire i rincari maggiori proprio i beni di prima necessità: pane, farina, riso e latte.
Nella piattaforma Cobas, discussa con i lavoratori, abbiamo stimato l’aumento minimo per reggere il caro prezzi, pari a 400 euro per un IV livello, già disponibili dal mese successivo al rinnovo, senza alcuna rateizzazione.
La conquista di cgilcisluil sono 240 euro, spalmati in cinque anni. 30 euro già versati ad aprile 2023, 70 € ad aprile 2024, 30 € a maggio 2025, 35 € a dicembre 2025, 35 € a novembre 2026 e finalmente 40 € a marzo 2027.
A questi si aggiungono due una tantum, di 200 e 150 euro.
Gli aumenti sono molto al di sotto di quanto necessario, fra la scadenza del Ccnl nel 2019 e il raggiungimento dell’aumento pieno solo nel 2027, con questa inflazione, I lavoratori non vedranno cambiate le loro condizioni economiche.


– PRECARIETÀ
L’aumento dell’orario minimo dei part time,  da 16 a 20 ore settimanali, è troppo timido a tutelare la stabilità dell’occupazione. Nel settore, il 70% dei lavoratori part time sono involontari, costretti cioè ad accettare questa tipologia contrattuale pur di essere assunti. Nella realtà, vengono impiegati anche oltre le 40 ore, spesso nei giorni festivi e le domeniche.
Il part time viene distorto per rendere più ricattabili i lavoratori, obbligati ad accettare orari e turni peggiorativi nella speranza di arrivare ad uno stipendio degno.
Allo stesso modo, l’etica cooperativa dovrebbe disincentivare le assunzioni a tempo determinato, una continua fabbrica di precariato che mina anche la sicurezza. I lavoratori vengono impiegati in qualsiasi mansione senza il tempo necessario per essere informati sui rischi.
Maggiormente, il lavoro in somministrazione deve essere eliminato dal mondo cooperativo. Non devono esistere lavoratori di serie b, che svolgono le stesse mansioni degli altri, ma avendo un altro datore di lavoro, hanno meno tutele e stipendi più bassi.
Le cooperative pesano così di pagare meno i lavoratori, lavandosi le mani di quale trattamento ricevono.


Vogliamo:
– un aumento di almeno 400 euro mensili immediatamente in busta paga;
– abolizione degli Enti Bilaterali e del Welfare aziendale;
– abolizione della flessibilità e delle clausole elastiche;
– part-time non inferiori alle 25 ore settimanali;
– ripristino dell’art. 18 con il reintegro su posto di lavoro anche per licenziamenti sproporzionati;
– internalizzazione di tutti i lavoratori esternalizzati, in somministrazione o in appalto.

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