Il settore del Commercio è uno dei più a rischio per i lavoratori perché pretende di dettare i tempi di vita in base all’incremento del profitto. Gli orari di lavoro non sono mai fissi, vengono decisi di settimana in settimana, spesso il sabato per il lunedì successivo, con turni giornalieri spezzati (10-13/15-20) costringendo i lavoratori a vivere nei dintorni del punto vendita, fra le ore di lavoro e quelle di attesa, impossibilitati a tornare a casa. La maggior parte delle assunzioni, negli ultimi dieci anni è stata fatta con contratti part time, su imposizione dell’azienda.Il Commercio è al terzo posto per questa modalità di assunzione, dopo Industria e Turismo, con un aumento di part time involontari del 132% in dieci anni. Un contratto su tre è un falso part time, tempo ridotto solo su carta, per risparmiare su contributi e tutele, per poi impiegare il lavoratore fino a 10 ore al giorno fra banca delle ore, recuperi e flessibilità.
Nella scomparsa progressiva dei negozi di prossimità, il progetto dei centri commerciali è stato quello di erigere ecomostri in cemento nelle periferie delle città. Abitanti e lavoratori non accedono più al centro, riservato ad una classe agiata e selezionata; servizi e comunità non sono più nelle strade, ma all’interno del centro commerciale, che è uno spazio chiuso, privato, controllabile. Se non si lavora, si compra. Babbo Natale? Vi aspetta nella galleria commerciale. Pizza e film? Il centro commerciale c’è. In un giro continuo fra produttività e consumo, tutto il nostro tempo ruota intorno alle merci. Ci è stato sottratto il nostro tempo, quello condiviso e quello riflessivo. Il tempo condiviso è il tempo relazionale con la famiglia, gli amici, dedicato ai rapporti sociali. Il tempo riflessivo è quello dedicato unicamente a noi stessi, che va ben oltre il generico tempo libero. Una dialettica con se stessi per capire chi si è, progettare il proprio futuro e rinnovarsi. La sottrazione del tempo riflessivo ci fa vivere unicamente alla giornata, in un eterno presente, così, quello che la maggior parte dei lavoratori inizia come un lavoretto giovanile e temporaneo, diventa la nostra unica realtà, da cui non riusciamo più ad uscire.
Oggi, dopo 30 anni, quello che era stato presentato come il progetto verso il progresso, mostra tutte le sue crepe.Non sono aumentati gli stipendi, tantomeno i diritti dei lavoratori, c’è sempre un qualche calo delle vendite o un aumento delle materie prime a giustificazione. La realtà è che il progresso che avevano in mente è contrario alla vita dei lavoratori/trici e il settore del Commercio è il centro di sperimentazione di tutti i peggioramenti in fatto di diritti, che se non alzano troppe proteste, possono essere applicati in tutto il mondo del lavoro. Pensiamo alle liberalizzazioni, con lo sdoganamento del lavoro domenicale, festivo e addirittura notturno. Non c’è stato alcun volano delle vendite, gli stessi acquisti si sono distribuiti in modo diverso nell’arco della settimana e della giornata, mentre è invece aumentata la precarietà e la ricattabilitá dei lavoratori/trici. Risulta sempre più difficile rifiutarsi di lavorare, anche laddove non c’è alcun obbligo, come nel caso dei festivi che sono solo su base volontaria. In base al Contratto Nazionale applicato c’è un numero di domeniche massime lavorabili (per il Ccnl Confcommercio per esempio sono 26), allo stesso modo i turni notturni, dalle 22.00 alle 6.00 di mattina, non possono essere imposti per i lavoratori/trici con figli, entro una certa età, o con richieste di 104.
Eppure, come si fa a rifiutare se il datore minaccia il licenziamento o la mancata proroga del contratto? Sentiamo oggi raccontare i centri commerciali come le nuove fabbriche, con l’operaio massa. È un’analisi erronea, perché se è vero che ci accomunano lo sfruttamento e l’alienazione, le condizioni di lavoro sono all’opposto. Non esiste un rapporto binario, datore di lavoro-dipendente: il lavoratore è schiacciato fra il capo e i clienti e proprio questi ultimi, con tempi sempre più ridotti a disposizione, pressano i lavoratori per avere servizi immediati che non sempre riguardano la propria mansione. E’ caduta la struttura fordista: nei negozi non esiste una catena di montaggio in cui i lavoratori siano l’uno al fianco dell’altro, con stessi contratti, stesse problematiche, stesse lotte. Oggi ci si trova spesso ad avere la stessa mansione, non solo con contratti diversi, ma anche con datori diversi. Addetti alle vendite e scaffalasti possono essere assunti direttamente dalla catena commerciale, da un’agenzia interinale o dal marchio del prodotto che stanno sistemando.
Così l’unione fra i lavoratori/trici, come un getto d’acqua su una superficie, si disperde in mille rivoli. I lavoratori/trici sono divisi, soli, ognuno pensa di vivere un problema che è solo proprio e non sarà condivisibile dagli altri. In questo contesto non esistono più diritti, ma solo “favori” che si chiedono al datore, che “gentilmente” li concede, in cambio di dover essere sempre sostenibili e flessibili senza alcun limite. Osserviamo insieme questo settore, analizzando come si sviluppa e quali sono i problemi che viviamo ogni giorno, in modo da andare oltre la singola, seppur importante, vertenza e così strutturare azioni di progetto di lungo periodo nell’obiettivo di diminuire l’orario di lavoro e i carichi senza toccare gli stipendi e garantendo la salute e la sicurezza di ogni singolo lavoratore.
Ricostruiamo la nostra classe di riferimento anche nel Commercio!
Luca Paolocci Esecutivo nazionale COBAS Lavoro Privato